Henryk Tomaszewski e il nuovo linguaggio visivo del Manifesto Polacco

Pubblicato il 03/11/2017

Henryk Tomaszewski è uno dei più autorevoli designer di poster mondiali. Nato nel 1914 a Varsavia, debutta per la prima volta alla Fiera del Mondo di New York nella seconda metà degli anni Trenta. Nelle sue opere il soggetto del poster si decentra dal tradizionale immaginario collettivo per avvicinarsi a forme più simili alla pittura, è in questo modo che dà vita alla nuova corrente della scuola di poster polacca.

I suoi manifesti sono caratterizzati da forme minimaliste che giocano con l’immaginazione degli spettatori: segni grafici, lettere, simboli e metafore che rimandano allegoricamente alle sensazioni suscitate dalle performance teatrali, mostre, concerti, eventi culturali e film pubblicizzati.

Nel 1976 la Royal Society of Arts di Londra gli conferisce il premio di “Royal Honorary Designer for Industry”.

Si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia e consegue la laurea in Pittura. Il suo lavoro è fortemente influenzato dalle opere di Georg Grosz e John Heartfield. Fin da subito comincia a lavorare per “Szpilka”, una rivista polacca, per la quale realizzerà numerose caricature. Nel 1944, durante l’occupazione nazista, pubblica alcuni disegni nella rivista satirica “Stan czyk” molti dei quali, a causa della rivolta di Varsavia, si perdono per sempre. Nel 1950 inizia a disegnare le locandine per la Centrala Wynajmu Filmow. Nello stesso anno si occupa delle scenografie del teatro Syrena. A partire sempre dagli anni ’50 inizia ad insegnare presso l’Accademia di Belle Arti di Varsavia.

Tomaszewski è cresciuto come designer sotto il dominio nazista e comunista, ed è chiaro come le sue opere risentano delle influenze politiche dettate dai regimi totalitari. Nel 1947 Tomaszewski fu assunto dal governo comunista per creare poster di regime. Il governo comunista infatti, così come era avvenuto per i fascismi, stava cercando di sfruttare l’arte e il design come mezzo di propaganda del governo, in particolar modo considerava il manifesto uno dei canali principali per la comunicazione di massa. Ma a differenza di quanto accadde in Occidente, il regime comunista lasciò ampio spazio alle sperimentazioni e alle avanguardie artistiche. Tomaszewski mette inoltre in luce come le condizioni di povertà in cui versava la Polonia di quegli anni e la penuria di materiali imponeva l’utilizzo di tecniche stilistiche nuove.

Tomaszewski si allontana infatti dalla tradizionale iconografia filmica, che prevedeva la raffigurazione di scene reali o i ritratti delle grandi Star apparse nei lungometraggi o nelle opere teatrali, preferendo la suggestione creata da simboli e segni che rimandavano visivamente allo stato d’animo suscitato dall’opera stessa. In questi termini è possibile affermare come le opere di Tomaszewski e tutte le opere prodotte dalla Scuola polacca siano più che altro interpretazioni artistiche personali sull’opera filmica da parte degli stessi designer che realizzavano i manifesti , e non più dei semplici annunci. In questo modo i graphic designer polacchi danno luogo a manifesti sui generis, nostalgici e surreali.

Nelle sue opere (manifesti, illustrazioni, copertine di libri) Tomaszewski è riuscito ad utilizzare scorciatoie mentali e idee esteticamente sintetizzate in segni grafici o verniciati per trasmettere messaggi brevi ma sofisticati. Il suo lavoro è unico per la sua semplicità, la precisione intellettuale, il senso straordinario dell’umorismo e il disegno facile e laconico. Riesce dunque a trasmettere verità generali e profonde commentando eventi che altrimenti sarebbero andati inosservati e rimandando ad allusioni che invitano ad una ricezione creativa.

Il manifesto Love, ad esempio, realizzato per una retrospettiva organizzata dal Museo Stedelijk di Amsterdam nel 1991, rappresenta sinteticamente e in modo sottile un ideale e, nel caso specifico, l’amore per il suo lavoro. Qui, lo stile asciutto ma nello stesso tempo brioso di Tomaszewski, si condensa in pochi tratti con una tecnica quasi pittorica. Al centro del manifesto la parola “love” si divide in due righe. Le lettere vengono pennellate sulla superfice del poster, e il colore nero è predominante; sola la lettera “o” è di colore rosso, a voler simboleggiare la sua passione. È inoltre aggiunto un particolare “peloso” alla lettera “v”, un chiaro rimando erotico all’organo riproduttivo femminile.

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